LA LIBERTÀ NELL’EPOCA DEL PENSIERO UNICO (di Lara Carrozzo)
La libertà è la facoltà di pensare, di operare in modo autonomo. Dal punto di vista giuridico, per libertà s’intende il diritto di ogni individuo di disporre della propria persona. Ma che cosa è realmente oggi la libertà? Non è semplice dare una risposta nell’epoca del pensiero unico, che significa omologazione, assenza di differenziazione nell’ambito delle concezioni e delle idee politiche, economiche e sociali.
Ne Il Foglio, 1° maggio 1998 p.2 leggiamo: “La sostanziale omologazione dell’alta tecnocrazia delle banche, dei ministeri e della burocrazia di Bruxelles riflette quel pensiero unico indicato da più parti come responsabile della stagnazione economica e del fallimento nella lotta alla disoccupazione”.
Il pensiero unico corrisponde infatti alla sovrastruttura ideologica compatta, unitaria e priva di avversari politici e culturali propria della struttura del fanatismo economico-finanziario globale quale si è venuto strutturando dopo la fine del comunismo storico novecentesco; il quale, permise ad alcune generazioni di nascere, vivere e morire senza sperimentare il capitale come forma di vita, come regime di storicità e come ordine del discorso. Il pensiero è la sovrastruttura ideologica della compagine classista capitalistica divenuta mercato unico globale senza limiti. L’omologazione economicamente diseguale della mondializzazione capitalistica si presenta così, in ambito culturale e sovrastrutturale, nella forma dell’ordine simbolico dominante del pensiero unico politicamente corretto, sistema sospettoso e colmo di proibizioni e di sanzioni atto a annullare ogni idea, ogni orientamento, ogni prospettiva, ogni desiderio non allineato con la struttura realmente data e concretamente disarmonica del mondo. Ma se la libertà è come direbbe il liberalista Isaiah Berlin:
“L’essenza della libertà è sempre consistita nella capacità di scegliere come si vuole scegliere e perché così si vuole, senza costrizioni o intimidazioni, senza che un sistema immenso ci inghiotta; e nel diritto di resistere, di essere impopolare, di schierarti per le tue convinzioni per il solo fatto che sono tue. La vera libertà è questa, e senza di essa non c’è mai libertà, di nessun genere, e nemmeno l’illusione di averla”. Come possiamo muoverci in questo marasma alla ricerca di uno spiraglio di autonomia? La questione più importante è infatti questa. Ma in un mondo tumefatto dalla violenza, dove ci si accorge che i diritti umani universali che dovevano essere sacri, sono stati sacrificati sull’altare del Dio denaro a discapito di tante piccole vite che si sono andate infrangendo nelle cascate della povertà, della guerra e della mancanza di ragioni specifiche, in termini di valori, per cui vivere, non è del tutto semplice. Forse una soluzione specifica è quella di fare appello all’interiorità, uno dei doni più potenti che abbiamo è la libertà, e come diceva Jung nel suo bellissimo libro rosso: “meglio essere legati da catene visibili che da catene invisibili”. L’effettiva libertà è quella che portiamo dentro di noi, quella che si libera dal giudizio proprio e dell’altro, quell’evoluzione di liberazione che ci permette di non essere prigionieri di noi stessi. Oppure come diceva Papa K. Wojtyla in Amore e responsabilità, (Marietti, Torino 1969, pp. 122-123), facendo riferimento alla libertà soprattutto nell’amore: “L’amore consiste nell’impegno della libertà: è un dono di sé, e donarsi significa precisamente limitare la propria libertà a vantaggio di altri. La limitazione della libertà potrebbe essere in se stessa qualche cosa di negativo e di sgradevole, ma l’amore fa sì ch’essa sia al contrario positiva, gioiosa e creatrice. La libertà è fatta per l’amore. Se non è usata, se non è sfruttata da esso, diventa precisamente qualche cosa di negativo, dà all’uomo il senso del vuoto. L’amore impegna la libertà e la colma di ciò che per natura attira la volontà: il bene. La volontà tende al bene e la libertà è una proprietà della volontà; ecco perché dicevamo che la libertà è fatta per l’amore: soprattutto, grazie ad esso, infatti, l’uomo partecipa al bene. Per la stessa ragione, la libertà occupa uno dei primi posti nell’ordine morale, nella gerarchia delle virtù, così come i buoni desideri e le buone aspirazioni dell’uomo. L’uomo desidera l’amore più della libertà: la libertà è un mezzo, l’amore è un fine. Ma desidera l’amore vero, perché soltanto sulla base della verità è possibile un impegno autentico della libertà”. Anche nella Sacra Bibbia è ben esplicitato questo concetto: “Egli da principio creò l’uomo e lo lasciò in balìa del proprio volere” (Siracide 15,14). L’interiorità coltivata nella spiritualità può essere la sola chiave per uscire e attraversare la porta del tempo del pensiero unico, là dove l’oltrepassamento si sostanzia in una visione alta della vita vissuta nel volo come il gabbiano Jonathan Livingston che adora volare e che per questo viene esiliato dal suo stormo, che lo considera troppo spericolato; Jonathan per tutta la vita si dedica con perizia allo studio del volo, cercando sempre di imparare nuove acrobazie, fino al giorno della sua morte, nel quale viene raggiunto da due gabbiani bianchi che lo conducono in un luogo dove Jonathan, sotto la guida di altri gabbiani, apprende che scopo della vita è raggiungere la perfezione, partendo dal volo ma soprattutto comprendendo il segreto della bontà e dell’amore. Da questo momento, Jonathan comprenderà che lo scopo della sua vita non è solo volare per il gusto di farlo, ma è condividere la sua conoscenza con altri. Allora, impariamo a volare alto, ma senza la necessità di isolarci, con il convincimento che la conoscenza potrà essere la sola autentica strada per il conseguimento del vero potere umano, che è la libertà. |